Università della CalabriaHRS4RUniversità della CalabriaHRS4R
Università della CalabriaHRS4R
Cerca
Cerca
RubricaRubrica
Italian English Cinese Francese Portoghese Spagnolo Arabo Russo

WEB, STAMPA e TV
Comunicati
Concerto
Video integrale della cerimonia
Video della giornata

Inaugurazione Anno Accademico 2022/23 - Le relazioni

19 Settembre 2022 - Aula Magna, Centro Congressi "Andreatta"

[clicca su + per leggere le relazioni]

Una visione chiamata Unical [sintesi]

«Vorrei che l’intera società calabrese (…) trovasse nell’Università un ben più profondo significato di quanto non ne abbiano avuto, finora, tutte le altre Università» (Beniamino Andreatta)

L’Università della Calabria nasceva nel 1972 con una missione scientifica e al tempo stesso civile. Un sogno, una visione, una scommessa lanciata da Beniamino Andreatta e dai padri fondatori: realizzare nel sud un ateneo nuovo, con metodi formativi inediti e residenziale, che formasse la nuova classe dirigente e rendesse l’istruzione universitaria in Calabria opportunità per tutti. Una scommessa che oserei dire vinta. Più di 100.000 giovani hanno conseguito il titolo di studio presso l’Università della Calabria finora: tra di loro ci sono gran parte degli insegnanti di oggi, dei dirigenti di oggi e i vertici di diverse istituzioni calabresi. Essi hanno positivamente contribuito all’innovazione e alla crescita socioculturale della Calabria. Numeri che raccontano l’incredibile crescita di questo ateneo, dal 1972 a oggi.

Nel suo primo anno accademico contava tre corsi di laurea: Ingegneria civile e industriale, Fisica e Scienze economiche e sociali. Cinquant’anni dopo i corsi di laurea, tra triennali e magistrali, sono saliti a 78. Il numero di iscritti al primo anno è passato dai 596 del ’72 agli oltre 6mila dell’anno accademico 2021/2022. Negli anni, grande l’apertura è stata anche nei confronti della comunità internazionale che ha mostrato grande interesse, tanto da superare quest’anno le 5000 domande di ammissione da parte di studenti stranieri, attratti dai nostri 10 corsi internazionali e dai 21 dual degree.

L’Unical non è cresciuta solo nella didattica; grandi passi sono stati fatto nel campo della ricerca grazie all’impegno di tanti giovani ricercatori che sono nati nell’Unical e che qui hanno deciso di fermarsi, sentendosi parte di una missione culturale più alta e offrendo il loro talento al servizio del territorio. Cito solo alcuni numeri, che raccontano l’impegno dell’Unical nella ricerca. Le pubblicazioni scientifiche sono oltre 60mila (fonte IRIS) e le citazioni Scopus superano le 300mila (su 15mila 774 prodotti), mentre quelle censite da Web of Science negli ultimi 10 anni sono più di 230mila (su 12.654 prodotti).

Accanto al genio delle menti, la ricerca viene sostenuta da grandi infrastrutture, tra le quali Sila, Agrinfra e Star, sorgente a raggi X ad alta energia, infrastruttura di ricerca di interesse strategico nazionale. Ricerca e infrastrutture ottenute grazie anche alla grande capacità di intercettare finanziamenti, linfa vitale per un’università nata e cresciuta in un tessuto economico modesto. Solo quest’anno, ad esempio, l’ateneo è riuscito a ottenere finanziamenti pari a 75 milioni di euro sul PNRR, 5 milioni sul Piano operativo salute e 4 milioni dal Ministero dell’economia.

Nell’ambito della sua terza missione, inoltre, l’Unical ha dato vita a moltissimi spin-off: oggi sono 48 che danno lavoro a centinaia di giovani laureati.

Certo, le sfide del futuro sono ancora tante e passano anche dal miglioramento di alloggi e servizi, al garantire il diritto allo studio a tutti gli studenti, per i quali mancano ancora oggi risorse statali sufficienti e si rende necessaria – e non più rinviabile – l’adozione di una legge regionale per il diritto allo studio universitario. Tra le sfide del futuro anche la necessità di animare ancor di più il campus, realizzando in pieno quell’ambiente di studio inedito che Andreatta immaginava per il campus. Tra gli obiettivi, che raggiungeremo a stretto giro, il potenziamento delle strutture sportive con la realizzazione di una vera e propria cittadella dello sport e l’apertura delle sale cinematografiche.

È il momento di tirare le somme, di tracciare un bilancio. Cinquant’anni dopo possiamo – dobbiamo – chiederci se l’ambiziosa missione per cui l’Università della Calabria è nata sia stata compiuta. Certamente l’Unical ha avuto un enorme impatto sulla formazione e sullo sviluppo socio-culturale, ha favorito l'innovazione e la crescita del territorio. Ma per lo sviluppo economico l'università da sola non basta. La politica deve fare la sua parte in ambito di infrastrutture, trasporti e sicurezza. Il Pnrr in questo senso offre una grande opportunità e l’Unical mette a disposizione le proprie competenze per realizzare progetti in sinergia con l’istituzione regionale. Quindi più che rispondere alla prima domanda, a chi nutre dubbi sul positivo impatto dell’Unical sul territorio ne propongo io un’altra. Cosa sarebbe stata la Calabria oggi senza l’Unical?


Interventi

Chiarissimo prof. Parisi,

Magnifico Rettore,

Direttrice Generale,

Docenti, colleghe e colleghi,

Studentesse e studenti,

Ospiti tutti.

 

È per me un immenso onore e momento di grande emozione poter essere qui oggi a rappresentare il Personale Tecnico Amministrativo dell’Università della Calabria. Una grande squadra di cui, dal primo gennaio di quest’anno, ho la fortuna di far parte a pieno titolo. 

Come molti colleghi e colleghe, la mia storia all’UNICAL è cominciata qualche anno prima dell’assunzione, quando ho scelto questo ateneo per i miei studi. In direzione contraria rispetto a gran parte dei miei conoscenti, qualche anno fa, ho lasciato la Basilicata, con l’intento di disegnare il mio futuro ancora più Sud. E – senza sapere se quella scommessa l’avrei vinta – sono giunta in una realtà nuova, con la testa piena di sogni, di speranze e curiosità. Ricordo ancora con emozione il primo giorno di lezione, al Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali, tra i capannoni del Polifunzionale, il cuore storico dell’Università dove quello che celebriamo oggi ha avuto inizio. Lì, ho sostenuto il mio primo esame e, ancora lì, ho sostenuto l’ultimo, conseguendo la Laurea Magistrale in Scienze per la Cooperazione e lo Sviluppo, alla fine di un percorso che mi ha fornito importanti strumenti per il lavoro che svolgo oggi nell’ambito della Ricerca, dell’Internazionalizzazione e della Terza Missione.

Durante gli anni di studio, questo posto, per me, è diventato casa. Una casa condivisa con colleghi e docenti, anche oltre l’orario delle lezioni. Una casa che ha saputo spalancare le porte, consentendomi di partire con il programma Erasmus, alla scoperta di nuovi contesti accademici e lavorativi internazionali. All’UNICAL, però, ho appreso che non sempre è necessario andare lontano per fare esperienze nuove. Praticare il Campus mi ha dato la possibilità di vivere in un mondo plurale, ricco di stimoli e possibilità. Anno dopo anno, ho visto crescere questo piccolo grande esperimento di multiculturalità in terra calabrese. Un luogo in cui lo scambio di idee, culture e lingue differenti, rappresenta il valore aggiunto della vita universitaria. Queste esperienze mi hanno fatto capire che non potevo, non volevo, lasciare questo posto che mi aveva dato tanto. 

Non è stato un percorso facile, ma con il giusto impegno, a meno di un anno dalla laurea, ho firmato con grande entusiasmo il mio primo contratto di lavoro: una collaborazione come Tutor per la Mobilità Internazionale presso il Dipartimento che mi aveva formato. Neppure tutto l’entusiasmo del mondo sarebbe stato sufficiente, però, senza il supporto prezioso del Personale tecnico amministrativo del Dipartimento, di quelli che, oggi finalmente, posso chiamare a tutti gli effetti colleghe e colleghi. Infatti, sulla scorta di queste esperienze, nel vivo dell’incertezza globale legata alla pandemia, sono arrivata – come dipendente a tempo determinato – presso il Dipartimento di Matematica e Informatica, dove oggi lavoro. Qui, ho trovato una squadra operosa, un ambiente accogliente e stimolante, dove tra uffici si condividono conoscenze e buone pratiche, e con i docenti si collabora in costante sinergia. È un lavoro di squadra il nostro. Ci sentiamo tutti parte indispensabile di un meccanismo virtuoso: supportando costantemente corpo docente e agevolando la vita e le carriere dei nostri studenti – il nostro capitale più grande –, sentiamo di incidere fattivamente nello sviluppo del territorio.

Esistono anche le criticità. In questi anni, ho visto colleghe e colleghi fare fronte con abnegazione al problema del sottodimensionamento, tanto nei dipartimenti quanto negli uffici centrali, caricandosi a volte di una mole di lavoro così intenso da rischiare di comprometterne tempistiche e qualità. A questo proposito, la decisione di bandire nuovi concorsi per il reclutamento di personale a tempo indeterminato – e le procedure sono in corso in questo momento – credo rappresenti una svolta importante per la vita dell’Ateneo. Si tratta di un fondamentale investimento sul presente e sul futuro. Dopo oltre 10 anni di stallo, renderemo possibile l’ingresso di nuove forze e competenze, offrendo spazio al ricambio generazionale, necessario non solo per l’alto numero di pensionamenti, ma soprattutto per il rafforzamento dell’organico in vista delle prospettive future dell’UNICAL.

Come ben sappiamo, la necessità di personale è stata ed è, spesso, arginata dal lavoro flessibile. La presenza di collaboratrici e collaboratori, oltre che di personale a tempo determinato, che operano quotidianamente con dedizione e impegno è essenziale per il buon funzionamento dell’Ateneo. Le stabilizzazioni di fine 2021, che mi hanno visto coinvolta insieme ad altri 25 colleghi e colleghe, rappresentano un primo passo importante verso questo cambio di paradigma. Sussiste l’esigenza, però, di ragionare su un piano per il superamento del precariato: lo dobbiamo alle persone che hanno maturato competenze indispensabili per l’operato delle strutture e lo dobbiamo ai giovani che si affacciano al mondo del lavoro in un momento storico di particolare incertezza.

La valorizzazione, economica e professionale, del personale tecnico amministrativo, costituisce un doveroso riconoscimento delle competenze che lavoratrici e lavoratori acquisiscono nel tempo, insieme alle abilità a fronteggiare le sfide sempre crescenti che di anno in anno interessano il nostro Ateneo. Da una parte vediamo come il riconoscimento del nostro lavoro sia frenato da un sistema che non consente celeri progressioni di carriera, dall’altra siamo chiamati, ancor di più oggi, a lavorare per la gestione complessa di un sistema articolato. Ci approntiamo, infatti, a raccogliere la grande opportunità del PNRR, che impegnerà il nostro ateneo in ben 18 progetti, per un finanziamento di oltre 90 milioni di euro. L’impatto sull’organizzazione e sulla gestione delle risorse, che ricadrà sul nostro lavoro, sarà davvero rilevante. Questa circostanza ci richiederà sempre più forza e qualificazione. Quale momento migliore, dunque, per investire in misure di promozione, sostegno e incentivazione del personale!

In un grande Campus come il nostro l’eccellenza si fonda su didattica e ricerca di qualità, e lo abbiamo dimostrato ben posizionandoci in ranking nazionali ed internazionali; ma in virtù della sua singolarità sul territorio italiano, per dimensioni e benefici del diritto allo studio erogati, un ruolo centrale è rivestito dall’importanza dei servizi. E in questo, noi personale tecnico amministrativo agiamo in modo decisivo. È importante ricordare che il Censis ha collocato l’UNICAL sul podio tra i grandi Atenei, primo d'Italia per i servizi agli studenti. Un risultato che deve spronarci a fare ancora meglio, per rispondere alle richieste crescenti del corpo studentesco. Per fare ciò, è necessario investire in formazione e aggiornamento continuo, elementi oramai imprescindibili in una società fluida e in perenne mutamento.

Consentitemi poi, in quanto donna, di fare una riflessione sul ruolo femminile nel pubblico impiego. Siamo una categoria ancora sottorappresentata nei ruoli dirigenziali della Pubblica Amministrazione, anche nelle Università dove rappresentiamo la maggioranza dei lavoratori. Un dato sconfortante che interessa tanto il personale docente quanto quello tecnico amministrativo. Alla luce di ciò, è importante prevedere nuovi servizi e potenziare quelli esistenti, al fine di alleviare gli impegni legati alla responsabilità genitoriale e alla cura della famiglia, ancora troppo ancorati alla figura femminile e che condizionano la piena realizzazione lavorativa. In questa direzione, è inevitabile pensare all’istituzionalizzazione del lavoro agile, strumento che si è rivelato fondamentale in una fase di crisi e che, se adeguatamente modulato, potrebbe rivelarsi una risorsa decisiva per consentire di conciliare i tempi di vita professionali e familiari.  

È evidente che vecchie e nuove criticità persistono ancora nella nostra categoria. Nonostante tutto, per i giovani l’accesso al pubblico impiego, specialmente a Sud, è una meta ancora ambita. In altre aree d’Italia, invece, molti miei coetanei sono disincentivati ad intraprendere questo percorso, tanto per le difficoltà di accesso quanto per le condizioni economiche sfavorevoli rispetto al settore privato, soprattutto alla luce di una richiesta di competenze sempre più specifiche: digitali, tecniche e linguistiche. È importante ricordarlo, e riflettere anche oggi sulle condizioni salariali della nostra categoria, che fa segnare notevoli differenze rispetto gli altri comparti pubblici.

È evidente quanto la strada sia ancora in salita. Eppure, lo scorso 22 dicembre, quando ho firmato quel contratto di impiego a tempo indeterminato, leggendo negli occhi delle colleghe e dei colleghi attaccamento al lavoro, l’orgoglio e il senso di appartenenza, ho capito che avevo intrapreso il percorso giusto e che anche una scelta coraggiosa come quella di restare a Sud può rivelarsi quella giusta. Oggi da dipendente più giovane del PTA di Ateneo, è mio compito ricordare che il lavoro dignitoso di un giovane nella sua terra, prima che un merito è un diritto. E lo è tanto più, in contesti come il nostro, per coloro che hanno investito forze, dedizione e impegno per una formazione di qualità. Auspico, quindi, che il “sapere e il saper fare” delle menti e delle braccia che hanno consentito al nostro Ateneo di raggiungere 50 Anni Accademici si incontrino e si mescolino con le energie, le competenze e l’entusiasmo delle nuove generazioni. 

Auguro, infine, a tutti gli attuali e futuri colleghi e colleghe di trovare ogni giorno felicità nel proprio operato, occasioni di sviluppo personale, confronto e protagonismo. Che questo Ateneo diventi, anche per noi, personale tecnico amministrativo, un luogo dove coltivare aspirazioni con passione, guardando al nostro futuro lavorativo con prospettive di crescita professionale, a beneficio di tutta la comunità accademica e del futuro del nostro Paese.

A tutte e tutti voi: Buon anno accademico 2022/2023!

Studenti, ricercatori, professori, ospiti tutti dell'Università della Calabria, egregio professore Parisi, buongiorno.


Sono Elizabeth Doria Rosales e oggi, in questa giornata che inaugura l’anno accademico, vorrei portare come contributo una piccola testimonianza della mia storia personale di studentessa in questo Ateneo: una storia che mi riempe di soddisfazione, che mi ha consentito di concretizzare un sogno e di continuare a immaginarne altri; un percorso di crescita molto fruttuoso che auguro a tutti i colleghi che hanno deciso di investire tra queste aule nel proprio futuro.

José Marti, poeta e rivoluzionario cubano, considerato eroe nazionale, diceva: "ser culto es el único modo de ser libre”, “essere colti è l'unico modo di essere liberi”; parole che contengono una profonda verità, che mi hanno accompagnato durante la mia vita e guidato le mie scelte, prime tra tutte, quella di studiare fisica. Ho svolto la prima parte della mia formazione tra Santiago de Cuba e Sao Paolo in Brasile. Amo l’arte e la scienza, forse per questo l’Italia diventò subito la destinazione ideale, quando decisi di continuare i miei studi all’estero, spinta dalla voglia di conoscere realtà diverse dalle mie. Non è facile lasciare la propria terra e forse non la si lascia mai davvero, la si porta con sé; ma in Calabria, in questo Ateneo, ho trovato un luogo d'adozione che mi ha accolto con calore consentendomi di conseguire la Laurea Magistrale in Astrofisica e Geofisica e, tra qualche giorno, una seconda laurea, in Informatica.

L’antico nome della Calabria era “Italia“. Dopo 5 anni vissuti in questo territorio, posso dire che questa regione, con la sua storia stratificata, le sue incantevoli bellezze e anche le sue contraddizioni, è veramente l’ambiente ideale per far fiorire una pluralità di culture e incanalarle verso una sintesi creativa e originale. Negli anni vissuti nel Campus ho avuto modo di frequentare e convivere con persone provenienti da Asia, Africa, America, Oceania e, ovviamente, da varie parti dell’Europa, e da tutti ho avuto modo di apprendere qualcosa (e spero di essere riuscita a ricambiare a mia

volta). In Calabria ho sentito il senso della casa, dell’ospitalità, che mi ha consentito – studiando insieme ad altre persone, cucinando in comune cibi diversi, combinando qualche goliardata – di realizzare compiutamente il mio progetto di formazione.

Ho avuto modo di vivere appieno un Campus con cinquant’anni alle spalle, ma con una concezione moderna proiettata al futuro. Un Campus che offre tanti servizi, come quelli sportivi a me molto cari. Lo sport diventa nel campus occasione di ulteriore confronto tra studenti e professori anche al di fuori delle aule universitarie. Tanti i ricordi che serbo nel cuore. Come nel 2019, quando partecipai a una competizione di corsa nel Campus, la RunUnical, arrivando prima al traguardo nella categoria studentesse. Tanti i ricordi che mi legano anche al personale tecnico-amministrativo; in particolare, ricordo con gran simpatia il segretario del Dipartimento di Fisica, sempre disponibile a venire incontro alle nostre esigenze, comprensivo e pronto ad accoglierci col sorriso e col suo buon umore. Tante anche le esperienze che mi hanno avvicinato alle eccellenze scientifiche del territorio, forse ancora troppo poco valorizzate. Grande era il mio entusiasmo, ad esempio, quando agli studenti di astrofisica venne data l’opportunità di visitare l’Osservatorio Astronomico di Savelli a Crotone, grazie allo spirito d’iniziativa di una nostra professoressa che ci condusse in questo piccolo mondo abitato da scienziati, che partendo dal territorio calabrese, collaborano con il resto del mondo.

Il cuore della mia esperienza sono state le giornate impiegate per lo studio e la mia formazione, l’incontro con i docenti che hanno contribuito alla mia crescita e aiutato a edificare il mio spirito critico. Credo sia stato fondamentale incrociare conoscenze e competenze differenti. Fu il mio primo professore d’informatica – oggi in pensione - che, con grande umanità e una cultura fuori dal comune, raccontandomi della sua passione per la computazione in fisica, mi fu d’ispirazione: dopo anni felici passati tra Feynman e Landau, decisi di intraprendere una nuova sfida con i giovani colleghi di informatica. Un cambio di prospettiva, una nuova rete di relazioni, che mi ha arricchito dal punto di vista tecnico-scientifico e dal punto di vista umano.

L’orgoglio di far parte di questa comunità non si esaurisce, ma anzi trova oggi nuovo slancio. Ho infatti iniziato a intraprendere un percorso che spero mi porti a conseguire in futuro un dottorato, e poi – chissà – a entrare a pieno titolo nell’Istituzione quale ricercatrice. E’ sempre più forte in me il richiamo della ricerca, il fascino della scoperta. Feynman diceva che niente è più emozionante della verità, che è la ricompensa del vero scienziato. La libertà d’indagine è il fondamento di tutta la scienza. Il diritto di dubitare rende possibile il progresso, frutto della libertà di pensiero.

Tante belle esperienze. Esperienze che a volte, non lo nascondo, hanno incrociato anche delle difficoltà. Migliorare e costruire assieme un ambiente ancora più d’eccellenza si può. È fondamentale saper ascoltare le voci degli studenti, essere sempre aperti a ragionare sulle loro istanze in modo da favorire un percorso di crescita comune. Gli studenti sono la linfa vitale di questo Ateneo, sono la ragione stessa della cerimonia di oggi. Tanto è stato fatto in questi anni, ma ancor di più si può fare per coinvolgerli attivamente nella gestione e nelle scelte strategiche dello sviluppo: per recepire la loro visione nell’organizzazione dei servizi, della vita nel Campus e nella definizione dei percorsi formativi. Gli studenti e le università possono essere la guida della rinascita. Il nostro Ateneo può essere dolce e sapiente culla per le nuove generazioni, che hanno il compito di traghettarci verso un futuro migliore.

Il Sapere ha sempre radici lontane e nasce dalla consapevolezza di vivere insieme su questo meraviglioso sassolino, lanciato a velocità nel cosmo, che noi chiamiamo Terra. Ma su questo sasso ognuno di noi non è solo, siamo una piccola parte di un destino universale. È giusto ed è anche bello così. Sono stata fortunata ad arrivare dai Caraibi qui nel Mediterraneo, a ricongiungere questi due mari nell’Università della Calabria. Ringrazio tutti quelli che mi hanno accolta e supportata, fiduciosa di poter restituire almeno in parte ciò che da questa magnifica terra ho ricevuto.
Buon viaggio intorno al sole.

Buon anno accademico a tutti.

Ringrazio sentitamente il Rettore Professor Nicola Leone e tutta l’Università della Calabria per questo invito alla cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico, che mi onora particolarmente. 

Una cerimonia che segna un anniversario del tutto particolare: i cinquant’anni dall’inizio dei corsi dell’Ateneo di Arcavacata di Rende, nell'autunno del 1972. Una ricorrenza che verrà nobilitata anche dalla lectio magistralis che il Professor Parisi, insignito nel 2021 del premio Nobel per la Fisica, terrà tra pochi minuti sul valore della scienza e della ricerca scientifica.

Questo mezzo secolo di vita è il frutto di un progetto, al tempo stesso visionario ed estremamente concreto, di una classe dirigente politica e accademica estremamente lungimirante, che puntò sullo sviluppo e il riscatto del Mezzogiorno d’Italia investendo sull’Università e la ricerca, per formare e creare le nuove classi dirigenti del Mezzogiorno. 

Un progetto che ebbe come interprete Beniamino Andreatta, un tecnico di altissimo livello, nel contempo capace di grande visione politica. Questi, dopo aver dato vita e seguito i primi anni dello sviluppo del nuovo ateneo di Trento, si dedicò con passione e lucidità, in qualità di Rettore, all’avvio dell’attività dell’Università della Calabria, la cui legge istitutiva era stata emanata il 12 marzo 1968.

Una passione e un impegno – quelli di Andreatta – che esprimevano il suo sentimento di un dovere nazionale, e che rese in pochi anni l’Università della Calabria un punto di riferimento per la realtà locale, per le regioni vicine e per molti studenti provenienti da altre nazioni.

Un’impostazione aperta e un respiro internazionale che Andreatta volle trasferire nell’organizzazione dei corsi e dei piani di studio (con le prime 4 facoltà), nell’amministrazione e perfino nelle architetture.

Andreatta – ricorda la moglie Gianna – in contemporanea con l’avvio del primo anno accademico di UNICAL, visitò le redbrick university britanniche, le università civiche costruite in mattoni rossi, fondate sul principio della pari dignità, e ne restò entusiasta. Decise di trasferirne alcuni elementi nel modello italiano, cominciando da Rende.

Di qui la scelta di creare un campus e dei progetti dell’architetto Gregotti (con la struttura a ponte e i “cubi” che ospitano aule, uffici e laboratori) e di Martensson (per le residenze e le altre strutture del campus), che costituiscono gli elementi portanti e visibili di un grande progetto universitario in grado di competere in Italia e nel mondo, e che oggi si presenta con 14 Dipartimenti a cui afferiscono circa 800 docenti e 25.000 studenti.

Fin dall’inizio di questa storia il Consiglio Nazionale delle Ricerche ha incrociato e condiviso la strada dell’Università della Calabria, con solide collaborazioni scientifiche e grandi progettualità. 

Il CNR – che si sta avviando a celebrare il proprio centenario – vanta una presenza capillare sul territorio: 227 sedi in tutta Italia, capaci di creare una grande tessuto connettivo della ricerca tra i territori, le università e gli enti di ricerca: una grande rete scientifica integrata che costituisce un patrimonio inestimabile per il paese. 

La distribuzione capillare del CNR consente una presenza ed una rappresentanza territoriale sistematica, in cui il CNR funziona da antenna e da riferimento per le amministrazioni locali e le agenzie dello Stato, realizzando servizi di importanza fondamentale come, per esempio, avviene in campo epidemiologico, di monitoraggio e controllo ambientale, e in tanti altri settori della pubblica amministrazione. 

Il CNR ha anche all’attivo una forte e stretta collaborazione con il mondo produttivo, avendo in comune con imprese laboratori di ricerca, sviluppo ed innovazione, per contribuire alla valorizzazione e alla traslazione dei risultati della ricerca di base.

La missione del CNR è, e resterà sempre, perseguire l’eccellenza scientifica, la leadership industriale e l’innovazione sociale del paese, e più in generale dell’umanità.  In questo senso la collaborazione con il sistema di istruzione superiore e universitario è fondamentale. Deve e dovrà essere profonda e integrata per rappresentare una risposta ‘di sistema’ alle domande scientifiche ed alle esigenze della società.

In questo contesto il sistema CNR ha saputo integrarsi con quello universitario, e vi sono esempi in cui la sinergia efficace ha prodotto la nascita di nuove comunità scientifiche con unità miste CNR-università, come qui in Calabria. 

Vi sono aree scientifiche come quelle dell’intelligenza artificiale o del quantum tech che si stanno sviluppando e diffondendo in Italia anche grazie allo sforzo strategico compiuto dal CNR, che ha investito nei settori emergenti, senza imporre barriere disciplinari e lasciando libertà e opportunità ai ricercatori di esplorare nuovi orizzonti senza rigide ripartizioni settoriali.

La collaborazione con UNICAL è stata fortificata con l’istituzione, nel 1990 dell’Area della Ricerca di Cosenza, a seguito dell’Accordo di Programma tra il CNR e il Ministero per l’intervento Straordinario nel Mezzogiorno. 

Una realtà che ospita e aggrega le sedi: 

- dell’Istituto di Calcolo e Reti ad Alte Prestazioni

- dell’Istituto sull’Inquinamento Atmosferico

- dell’Istituto di Informatica e Telematica

- dell’Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica

- dell’Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo

- dell’Istituto per la Tecnologia delle Membrane

- dell’Istituto di Nanotecnologia

- dell’Istituto Ricerca e Innovazione Biomedica. 

Un’aggregazione di competenze e potenzialità, in grado di sviluppare grandi sinergie con l’Università, gli Enti territoriali locali e il mondo dell’impresa sul territorio, nonché per studiare e offrire soluzioni di alto profilo scientifico a molte problematiche della società, non limitate al contesto locale.

Un esempio attuale e particolarmente virtuoso di questa storia di collaborazione consiste nel coinvolgimento della maggior parte degli istituti dell’Area della ricerca nel progetto di Ecosistema dell’innovazione calabro- lucano, bando PNRR del MUR, Tech4you, coordinato dall’Universita’ della Calabria per il periodo 2022-2025. Un grande progetto che vede come partner l’Università Magna Graecia di Catanzaro, l’Università Mediterranea di Reggio Calabria, l’Università della Basilicata e le Regioni Calabria e Basilicata.

Il referente per il CNR è l’Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica, con il coinvolgimento di ITM, ICAR, ISAFOM, IIA, NANOTEC.

Una progettualità che incrocia e traguarda perfettamente la logica del PNRR, che prevede la formazione di reti di università statali e non statali, enti pubblici di ricerca, enti pubblici territoriali, altri soggetti pubblici e privati altamente qualificati e internazionalmente riconosciuti, e intervengono su aree di specializzazione tecnologica coerenti con le vocazioni industriali e di ricerca del territorio di riferimento, promuovendo e rafforzando la collaborazione tra il sistema della ricerca, il sistema produttivo e le istituzioni territoriali.

Questi Ecosistemi devono agevolare il trasferimento tecnologico e accelerare la trasformazione digitale dei processi produttivi in un’ottica di sostenibilità economica e ambientale e di impatto sociale sul territorio. Dovranno inoltre valorizzare la ricerca applicata e la formazione per ridurre il disallineamento tra le competenze richieste dalle imprese e quelle offerte dalle università, la valorizzazione dei risultati della ricerca con il loro trasferimento all’impresa, il supporto alla nascita e sviluppo di start-up e spin off da ricerca e di servizi di incubazione.

La destinazione del 40% delle risorse finanziarie ad attività realizzate nelle regioni del Mezzogiorno e la prescrizione che almeno il 40% del personale assunto o destinatario di borse di studio o di ricerca sia donna, non è certo da considerarsi un privilegio per i nostri istituti presenti in Calabria, ma una precisa assunzione di responsabilità verso un sistema della ricerca sempre più giusto e trasparente.

Il valore  della valutazione 

Inaugurazione anno accademico 

UNICAL 

Magnifici Rettori italiani e stranieri

Autorità civili, militari e religiose presenti, 

Colleghi professori e amministrativi,  studenti, amici, gentili ospiti.

 

Un sincero   ringraziamento  al Magnifico Rettore Nicola Leone per l’invito a prendere parte alla odierna cerimonia inaugurale  dell’anno accademico della  Università della Calabria. Confesso la mia emozione  in una giornata così importante  sia per la presenza  di autorevolissimi  colleghi e tra i quali il premio Nobel Giorgio Parisi e la presidente del CNR Maria Chiara Carrozza ma anche perché celebriamo oggi  mezzo secolo di vita del prestigioso Ateneo che ci ospita.

Fortemente voluta da politici e studiosi illuminati come Aldo Moro, firmatario della legge istitutiva e Emilio Colombo che aveva curato il pacchetto all’interno del quale si inseriva, poi ricordato  con il Suo nome,  fu ispirata e realizzata da  Beniamino Andreatta, all’epoca consigliere economico del Presidente del Consiglio Aldo Moro, che poi assunse l’incarico  di primo Rettore,  avviando e promuovendo  con la collaborazione di colleghi visionari, animati da forte passione civile (come Paolo Sylos Labini , Cesare Roda, Pietro Bucci  Giovanni Latorre, poi divenuti Rettori),  un modello di università viva, aperta al territorio e  alla società civile e soprattutto ampiamente innovativo. Fermamente convinto della importanza di tale progetto culturale   soprattutto  in un’area svantaggiata e debole del profondo Sud come la Calabria, realizzò un campus moderno,  “una città di giovani”,  ai quali offrire, come dichiarò in Suo discorso, “ un motivo per restare…. in una terra abituata a vedere i suoi figli partire”. Forte è il senso di responsabilità  dei tanti docenti , provenienti da varie aree del Paese,   che parteciparono alla fase fondativa e di  consolidamento del primo Ateneo calabrese.   Formare la classe dirigente competente e  propulsiva per il rinnovamento della pubblica amministrazione e delle imprese per promuovere crescita e sviluppo  divenne una vera e propria missione mai più dismessa.  Creare una università fortemente legata al territorio ma non paesana  e condizionata dai localismi costituisce per tutto il cinquantennio di vita dell’Ateneo un impegno forte  che si coniuga a quello mai trascurato di assicurare una istruzione di qualità  che sia in grado di  ridurre le disuguaglianze e che possa consentire di   riequilibrare il delicato rapporto tra cultura e economia tra sviluppo e libertà, tra ricerca e democrazia. 

Come  ebbe a dire Albert Einstein, nel  Discorso all’Università ebraica di Gerusalemme, l’Università  è una cosa viva,  una casa dove apprendere e insegnare liberamente, dove lavorare felicemente e fraternamente. Se  ciò è vero per tutte le  Università , lo è ancora di più per  l’Università della Calabria  per l’entusiasmo naturale dei giovani  che la popolano ,  per le  competenze che le animano ed allo stesso tempo  per le difficoltà  del territorio su cui essa insiste. “Un piccolo mondo, come osservato da Aldo Moro “nel quale quello grande completamente si riflette… nel quale “si vive compiutamente la vita, si soffre si spera, si lavora, si fantastica, si crede” e che riprendendo le parole di Andreatta   “vive nel presente e che per la sua parte di ricerca, di invenzione intellettuale, di progettazione del futuro, vive proiettata in avanti». 

Una vera e propria sfida epocale che, pur tra i tanti ostacoli, può dirsi in larga parte vinta ; una comunità  pulsante,  aperta al mondo e capace  di generare valore nella scienza ed allo stesso tempo valore sociale . Una sfida che non si esaurisce, pur con i successi e meriti riconosciuti anche attraverso le attività valutative dell’Agenzia che ho l’onore si presiedere.  Come è purtroppo noto, i dati educativi come quelli occupazionali, già negativi del Mezzogiorno, toccano  punte ancora più alte  proprio in Calabria. Occorre quindi che l’Università interpreti come e ancor più del passato il proprio ruolo di attrazione per i giovani e per le imprese, cogliendo le tante opportunità  che i grandi cambiamenti del presente e del futuro offrono (penso alle tecnologie digitali e alle intelligenze artificiali, temi su cui UNICAL  rappresenta una eccellenza come anche quelle ambientali e  di governo del territorio, vere e proprie emergenze locale e globale),  adeguatamente sostenuta dalle istituzioni  nel puntare su produttività e innovazione.  All’apertura dell’ateneo di Arcavacata, Sylos-Labini aveva riscontrato alcuni limiti  del processo di sviluppo della Regione e aveva fatto appello  alla responsabilità individuale, alla democrazia che si costruisce dal basso,  al capitale sociale da coinvolgere, alla volontà di riscatto e di risveglio  dei giovani.  Raccogliamo tale appello  ponendo al centro gli studenti e con loro  e per loro  il valore della qualità e del merito, condizioni essenziali per lo sviluppo economico e  la mobilità sociale. Promuoviamo tutti una Università di valore per dare valore  a chi la frequenta e la vive e ai luoghi e ai tempi in cui opera. 

Come è notol’espressione “ valore”, pur avendo radice economica  indicando il «carattere misurabile di un bene suscettibile di essere scambiato dietro la corresponsione di un controvalore (generalmente monetario) »,  può essere inteso come   fine ideale o meglio ‘bene finale’  che si realizza  storicamente e si connette in vario modo con la realtà sociale, l’organizzazione economica e giuridica, le tradizioni, i costumi e i simboli di una comunità anche accademica e che diviene guida e orientamento delle scelte da assumere.  E’ proprio in questa prospettiva,  che valore e valutazione si saldano tra loro, potendo coniugarsi in ambito accademico, con le varie attività svolte  a vantaggio dello studente e delle comunità locale. 

L’università nella pienezza delle sue funzioni è, quindi, un modello valoriale e culturale in cui filtrare, ricomporre, disegnare in modo diacronico la conoscenza consegnata dalle generazioni passate  per affidarla a quelle future,  affrontando  le sfide quotidiane e disegnando in modo sincronico le interazioni fra competenze e convivenze. In questa prospettiva, la didattica non è addestramento,  la ricerca non è tecnica raffinata o linguaggio specialistico, la terza missione  non è solo il rapporto  con la realtà circostante.  Valutare in modo complessivo e integrato obiettivi, strategie, politiche, lavori scientifici, struttura didattica, politiche di ricerca e casi studio di terza missione significa valorizzare, secondo la logica euristica, l’eccellenza e il merito e quindi i tratti identitari di ogni ente coinvolto, rendendoli visibili e riconoscibile

Evidente quindi come sia fondamentale sia la GLOBAL EVALUATION valutazione che, lungi dall’essere apprezzata come strumento censorio, opprimente o punitivo e meno che mai come  compressione o negazione dell’autonomia,  costituisce modello proteso a garantire la qualità e come espressione del principio di responsabilità che la connota e allo stesso tempo la valorizza. Un sistema di assicurazione della qualità ben funzionante  consente, peraltro,  sia all’Istituzione valutata che a coloro che ad essa guardano  le informazioni relative alle attività  e alle strategie messe in campo  al fine di progredire ulteriormente nello svolgimento di tali attività. 

Un processo quindi né formalista e meno che mai autocratico ma anzi partecipato e condiviso, un vero servizio offerto alla comunità accademica e sociale,  che si giustifica per la responsabilità e l’autonomia costituzionalmente garantita e che rende migliori chi ad essa si sottopone , soprattutto ove intenda migliorarsi.   

Di tutto questo UNICAL è pienamente consapevole partecipando con convinzione all’intera filiera valutativa,  attraversi i propri organi interni come Nucleo di valutazione  e presidio di qualità, e alle attività dell’ANVUR (Ava, Vqr 3, ecc.) e che ha consentito di recente anche l’ accreditamento dei nuovi  corsi di studio  tra di essi quello da tempo atteso di medicina e chirurgia .

 Certo, occorre proseguire, implementare e sostenere il percorso avviato, promuovendo e consolidando il valore della valutazione come quello della ricerca e della scienza,  riconoscendola come opportunità e rendendola centrale nel miglioramento qualitativo e  nei processi di sviluppo del Mezzogiorno e dell’intero Paese .

Antonio Uricchio 

Presidente ANVUR


Lectio Magistralis

Il valore della scienza

Per parlare della scienza occorre partire dalle motivazioni per cui s’è creata questa grande impresa scientifica. Certo le persone che hanno tanto tempo fa addomesticato il fuoco, che hanno cominciato a capire come si potevano cucinare gli alimenti, e come si potevano coltivare le semenze, e poi quelli che hanno imparato a migliorare i semi mediante selezioni e incroci, o anche ad allevare e a migliorare le razze degli animali, in fondo erano tutti scienziati, i quali però sono rimasti completamente ignoti a noi e quindi è difficile parlare di loro. 

Vorrei concentrarmi piuttosto sulle motivazioni e sull’organizzazione della scienza come la conosciamo adesso e come storicamente si è sviluppata. 

Il punto di vista degli scienziati

A questo proposito, vorrei incominciare citando le parole che si dicono pronunziate da Richard Feynman. Richard Feynman è stato uno dei più grandi scienziati del secolo scorso, una persona con interessi di tutti i tipi: era per esempio un ottimo sonatore di bongo, che aveva imparato a sonare quando era in Brasile, ed è anche salito su uno dei carri del carnevale a eseguir pezzi di musica; aveva un’aria molto scanzonata e a volte anche provocatoria. Per quel che riguarda la scienza, gli si attribuisce il detto che la scienza è come il sesso: ha anche delle conseguenze pratiche, ma non è questo il motivo per cui la facciamo. Questa frase può essere messa, forse anche in maniera un po’ irriverente, assieme all’imperativo dantesco: «Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza».

 Dal punto di vista degli scienziati la scienza è un enorme puzzle; e come avviene quando si compone un puzzle ogni volta che viene messo un pezzo al posto giusto questo apre la possibilità di mettere altri pezzi. Si può così vedere la scienza come un mosaico gigantesco, in cui ogni scienziato aggiunge una piccola tessera. Ogni tessera che viene aggiunta a questo mosaico è un’acquisizione per sempre. Perciò lo scienziato ha la consapevolezza che il suo lavoro, il suo fare scienza è diventato un contributo, per cui anche quando il suo nome sarà dimenticato il suo contributo rimarrà, e quelli che, come diceva Newton sulle orme di Bernardo di Chartres, verranno dopo s’arrampicheranno sulle spalle di quelli che sono venuti prima. Infatti, Newton (come prima di lui Bernardo) diceva che se aveva potuto vedere così lontano, lo doveva al fatto che era salito sulle spalle di giganti. 

Possiamo anche dare un’altra immagine di che cosa sia l’impresa scientifica: ci sono dei naviganti che sbarcano di notte su un’isola sconosciuta e accendono un fuoco sulla spiaggia e, così facendo, incominciano a vedere che cosa li circonda: prima vedono le cose più vicine, poi pian piano mettono altra legna sul fuoco, la zona ben visibile diventa più ampia poiché il fuoco diventa più forte; ma di là dalla regione illuminata s’intravede una zona misteriosa e, ovviamente, più legna si mette sul fuoco, più la zona misteriosa diventa chiara; ma dietro di essa appare un’altra zona misteriosa sempre più grande. Più esploriamo l’universo, più scopriamo delle nuove regioni da esplorare, e ogni scoperta ci permette di formulare tantissime nuove domande che prima non eravamo assolutamente in grado di concepire. L’identificazione delle stelle dai cui ammassi son formate le galassie e il calcolo del loro numero è una scoperta che ha poco più di un secolo;  l’essersi resi conto dell’immensità dell’universo ci permette di porci domande che prima non erano assolutamente formulabili, e diveniamo sempre più consapevoli della nostra ignoranza su certe cose che non potevamo nemmeno concepire. 

Queste sono dunque delle considerazioni dal punto di vista dello scienziato, che spiegano il motivo di questo suo interesse per la scienza. Se si pensa al numero di persone che passano, non dico tutta la vita, ma una certa quantità di tempo a fare dei puzzle per divertirsi, è chiaro che comporre un puzzle di questo tipo collaborativo o su scala di secoli sia qualcosa che possa affascinare le persone. 

C’è anche un divertimento che si può provare nel fare scienza. Il mio maestro Nicola Cabibbo spesso, quando si discuteva sul da farsi, diceva: «Perché dovremmo studiare questo problema se non ci divertiamo?» Uno scienziato può quindi avere la scelta tra vari problemi da studiare e a seconda delle sue attitudini, di quello che egli trova più o meno divertente, più o meno interessante, sceglie un certo tipo di cose, un certo tipo di problemi. Mi ricordo d’un caro amico, Aurelio Grillo, che appena laureato spesso commentava: «Fare il fisico è una faticaccia, ma è sempre meglio che lavorare». C’è quasi lo stupore d’esser pagati per fare proprio le cose che uno vuole fare: quindi, da questo punto di vista, quello dello scienziato è un mestiere molto privilegiato. 

Le prime applicazioni della scienza

Bisogna tener conto che se si guarda alla storia ci sono stati ovviamente degli scienziati di famiglia agiata che si potevano permettere di svolgere le loro ricerche nei lunghi periodi d’ozio, nel senso di otium latino: basti pensare per esempio a Plinio il Vecchio; ma a parte questi casi rari, lo scienziato ha sempre avuto il problema di procurarsi da mangiare (e anche qualcos’altro) e le applicazioni della scienza erano in qualche modo fondamentali a questo fine. 

Se pensiamo in termini di applicazioni, si deve considerare una delle prime scienze in ordine di tempo, cioè l’astronomia. Qualcuno potrebbe pensare che l’astronomia sia una scienza che non ha applicazioni pratiche, ma in realtà noi abbiamo quest’impressione perché viviamo in città ben illuminate, in cui siamo abituati ad avere il controllo della luce, ad avere una luce artificiale che ci permette di vedere di notte, e le eclissi di luna non ci fanno più paura. Però quando 2.000 e 3.000 anni fa non c’era la luce artificiale, l’eclissi di luna, fenomeno non bene spiegato, era certamente qualcosa d’impressionante; per non parlare del terrore che potevano causare le eclissi di sole. Essere in grado di predire eclissi di luna, eclissi di sole, o anche lo stesso avvicendarsi delle stagioni, dava certamente un prestigio allo scienziato e al potere politico, al re o al principe o allo stesso popolo a cui lo scienziato poteva annunciare questi fatti. 

C’è sempre stato un forte legame fra la scienza e le sue possibili applicazioni: applicazioni che possono, come in questo caso, semplicemente portar prestigio alle persone. Per i mecenati le motivazioni potevano essere solo culturali o di prestigio sociale, ma per gli scienziati potevano essere anche altre: basti pensare ad Aristotele che è stato il precettore di Alessandro Magno. Già all’epoca, il rapporto fra potere politico e peso culturale delle scoperte o delle osservazioni di fenomeni ancora ignoti era molto importante. 

Ma se parliamo delle applicazioni pratiche dell’astronomia possiamo anche ricordare Galileo Galilei. Galileo incomincia puntando il suo cannocchiale al cielo e una delle prime sue scoperte sono i satelliti di Giove: scoperta assolutamente inaspettata, che ha delle conseguenze concettuali profonde perché non solo mostra che Giove è in realtà un piccolo sistema simile a quello solare copernicano, ma dà l’idea della gravitazione multicentrica (anche se Galileo non ne parla in maniera esplicita): cioè che Giove abbia, come il sole, una capacità attrattiva, e quindi anche che la luna sia un satellite della terra, ovvero che nel cielo sono presenti gli stessi fenomeni che avvengono sulla terra e intorno ad essa. Una delle prime cose che Galileo si domanda è come trarne un’applicazione pratica. I satelliti di Giove forniscono un orologio assoluto poiché sono osservabili da tutta la terra e c’è un momento preciso in cui vengono occultati dal pianeta. Gli orologi assoluti non esistevano all’epoca, perché gli orologi dell’epoca non erano precisi. Tuttavia, sapendo l’ora assoluta e conoscendo la posizione del sole, si può determinare quale sia la longitudine; cosa chiaramente fondamentale per la navigazione.  Galileo pensò dunque che, compilando delle tavole, i satelliti di Giove si potessero usare per determinare la longitudine. I satelliti di Giove non furono mai adoperati veramente per questo scopo, perché il metodo era un po’ troppo macchinoso: è interessante però che Galileo pensai subito a un’applicazione pratica delle scoperte. 

Questa ricerca di un’applicazione pratica delle scoperte viene portata avanti, per esempio, dal Torricelli. Nell’introduzione al suo libro De motu gravium (1644) egli dice essenzialmente di volere studiar gli oggetti che si muovono con velocità costante orizzontalmente e con accelerazione costante verticalmente, cioè gli oggetti che normalmente diciamo venire accelerati dalla forza di gravità e continua «Se poi le palle di cannone non seguono questa ipotesi, loro danno, non parleremo di esse». Torricelli, cioè, vuole esprimere l’idea che le leggi del moto e le palle di cannone avessero ben qualcosa da vedere l’uno con l’altro, anche se le ipotesi non sono esattamente soddisfatte.

La rivoluzione industriale

Poi abbiamo avuto la rivoluzione industriale, la quale si basa moltissimo su principi della fisica. La fisica, infatti, con le macchine del Carnot e con tutta la teoria della termodinamica, diventa fondamentale per quanto riguarda la teoria delle macchine a vapore; ma non solo: anche la sintesi dell’ammoniaca realizzata tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento è assolutamente basata sui principi della fisica e della chimica fisica. 

La sintesi dell’ammoniaca è stata fondamentale per vari motivi: l’azoto, che in natura si trova nell’aria, è necessario per la sintesi delle proteine. È chiaro che per poter crescere, un essere umano, come tutti gli altri animali e vegetali, ha bisogno di proteine, d’aminoacidi; tutti gli esseri viventi hanno bisogno di azoto, ma non potendo assimilare quello che sta nell’aria, esso deve necessariamente esser legato chimicamente (come nell’ammoniaca). Questa sintesi dell’azoto (in ammoniaca) veniva compiuta soltanto da un certo numero relativamente piccolo di batteri, i quali fornivano tutta la materia di base per le proteine animali e vegetali; la sintesi dell’ammoniaca permette dunque di far portare quest’azoto che sta nell’aria a una forma che sia utilizzabile dalle piante e poi, successivamente, dagli animali. La sintesi dell’ammoniaca ha permesso di creare dei fertilizzanti in quantità enorme, cosa che è stata alla base del fortissimo aumento della popolazione nel Novecento. Ed è anche stato alla base, purtroppo, della possibilità di sostenere la Prima guerra mondiale da parte dei tedeschi, per il semplice fatto che l’ammoniaca realizzata con la sintesi permetteva di fabbricare le munizioni. 

Non nomino a caso la Prima guerra mondiale perché la Prima guerra mondiale è stata in qualche modo connessa all’inizio della grande scienza (la cosiddetta big science). Infatti, una delle tragedie della Prima guerra mondiale è stata l’iprite, la quale fu utilizzata dai tedeschi sui campi della città di Ypres (una città belga situata nelle Fiandre): è un terribile veleno e in quell’occasione morirono alcune migliaia di persone. Ma quello che è meno noto è che l’uso dell’iprite è assolutamente non banale dal punto di vista scientifico, perché bisognava sintetizzarlo in grande quantità, e per far questo si mobilitarono cinque futuri premi Nobel tedeschi. 

Quindi la produzione di massa dell’iprite è stata praticamente l’inizio dell’entrata in guerra degli scienziati tedeschi: l’episodio con cui la scienza tedesca incominciò a lavorare per gli armamenti bellici. 

Con la seconda guerra mondiale nasce veramente la grande scienza: cinquantamila persone lavorano nei vari laboratori fra Los Alamos e quelli sparsi attorno alla costruzione della bomba atomica; c’è anche un grande tentativo di coordinare gli sforzi bellici in cui il consigliere e presidente americano per la scienza, Vannevar Bush, organizza il lavoro di seimila scienziati su tutti i problemi riguardanti la guerra: la produzione d’armamenti, la produzione d’aerei e così via. Nasce quindi l’idea di una scienza che deve essere finanziata e guidata dallo Stato. Vannevar Bush nel dopoguerra spinge fortemente per il grosso finanziamento delle attività civili sulla ricerca. Prende così avvio la grande scienza che, per fortuna, non si limita alle sole applicazioni belliche.

Che la ricerca e lo sviluppo siano trainanti per il progresso industriale di un Paese è cosa che si tende a dimenticare. Mi ricordo una volta che eravamo stati ricevuti con altri scienziati da Giorgio Napolitano quando era presidente della Repubblica; ci disse che aveva parlato con la cancelliera tedesca Angela Merkel, la quale gli aveva detto: «Ma scusate: perché vi lamentate se il vostro PIL sale meno di quello tedesco? Noi siamo passati dal due al tre per cento da spendere in ricerca e sviluppo; voi siete rimasti all’uno. L’avete voluto voi: perché ve la prendete con noi?». 

È chiaro che non è pensabile lo sviluppo tecnologico di adesso senza un parallelo avanzamento della scienza pura: infatti la scienza pura non solo fornisce alla scienza applicata le conoscenze necessarie per potersi sviluppare (linguaggi, metafore, quadri concettuali), ma anche un ruolo più celato e non meno importante. Le attività scientifiche funzionano infatti anche come un gigantesco circuito di collaudo di prodotti tecnologici e di stimolo al consumo di beni ad alta tecnologia avanzata. Basti pensare al linguaggio HTML che è stato introdotto in ambiente scientifico al CERN per trasmettere dati dagli Stati uniti, o al fatto che i primi grandi consumatori di CDC delle macchine fotografiche sono stati gli astronomi che avevano bisogno dei CDC per l’astronomia. 

Passando ora a quello che succede in Italia al giorno d’oggi, vediamo che il settore della ricerca e dello sviluppo scientifico è poco più dell’un per cento del PIL, in contrasto con altri Paesi, come la Corea del Sud, dove si arriva al quattro per cento. Dobbiamo ricordarci non solo che la Corea del Sud ci ha eliminato dai mondiali nel 2002, ma anche che spende quasi quattro volte di più dell’Italia in ricerca e sviluppo, e che ci batterà anche in altri campi. 

Se anche a livello planetario la scienza forse continuerà a svilupparsi e a trascinare la tecnologia non c’è nessuna garanzia che questo avvenga in un paese come l’Italia in cui abbiamo visto un’enorme deindustrializzazione negli ultimi cinquant’anni e assistiamo a un lento decadere della scuola pubblica a un disinvestimento dell’impegno finanziario nei beni culturali. Su scala decennale, tutte le attività culturali in Italia sono in lento ma costante declino e dobbiamo difendere la scienza – questa è una cosa importante – non solo per i suoi aspetti pratici, ma anche per il suo valore culturale.

Negli ultimi anni abbiamo avuto una prima inversione di tendenza. I fondi del Pnrr hanno dato al nostro Paese una grande opportunità: per la prima volta da decenni ci sono per la ricerca pubblica fondi, progetti organico e tempi certi per la loro realizzazione. Ciò avvicina l'Italia a Francia e Germania e fa immaginare un futuro per la nostra ricerca, anche considerando che i nostri scienziati hanno una produttività di lavori eccellenti più alta rispetto a quella degli altri Paesi. Ma una volta terminati i fondi del Pnrr cosa succederà? Che fine faranno i progetti iniziati? Come saranno finanziate, nel frattempo e successivamente, le ricerche non considerate dal Pnnr?

Per dare continuità a quanto abbiamo costruito è fondamentale immaginare il futuro. Per offrire alla politica un progetto realistico è stato elaborato un piano dettagliato nei contenuti e nella dimensione finanziaria. https://www.lincei.it/sites/default/files/documenti/Articles/Piano_quinquennale_%20per_la_ricerca_pubblica-2023-2027_Lincei.pdf

Su di esso  spero che ci possa esserci una larga convergenza da parte di tutte le parti politiche. Lo sviluppo della ricerca italiana dovrebbe basarsi su piani approvati a larga maggioranza e non soggetti all’alea dei cambiamenti politici.

La Scienza come cultura

La difesa della scienza come parte della cultura è qualcosa di estremamente importante. Bisogna sensibilizzare la popolazione, almeno quella colta, su che cos’è la scienza; occorre far capire che la scienza e la cultura si intrecciano l’una con l’altra, sia nel loro sviluppo storico, sia sul piano teorico, e anche nella pratica di tutti i giorni. Bisogna spiegare in maniera semplice (ma non semplicistica) cosa fanno oggi gli scienziati e quali sono le sfide dei nostri giorni. Anche se quest’opera di spiegazione dei contenuti e del significato della scienza non è facile, specialmente per le scienze cosiddette ‘dure’, dove la matematica svolge un ruolo essenziale, tuttavia con un certo sforzo si possono ottenere ottimi risultati. 

Vorrei a questo proposito ricordare una bellissima citazione di Robert Wilson (Robert Wilson è uno degli scienziati americani che, nel secondo dopoguerra, organizzò la costruzione delle grandi macchine acceleratrici negli Stati Uniti): nel 1969 di fronte a un senatore americano che insistentemente gli chiedeva quali fossero le applicazioni della costruzione dell’acceleratore al Fermi Lab vicino a Chicago, e il perché il senato americano dovesse finanziare il progetto ‘Bob’ Wilson gli rispose che il suo valore stava nell’amore per la cultura, e che come la pittura, la scultura, la poesia o tutte quelle attività di cui gli americani sono patriotticamente fieri, non serviva per difendere il proprio Paese, ma faceva sì che valesse la pena di difenderlo. 

Spesso si dice che le scienze dure non sono comprensibili per chi non ha studiato la matematica, ma si ha stesso problema con la poesia cinese che è una combinazione piacevole di letteratura e pittura; il manoscritto originale della poesia è un quadro, dove singoli ideogrammi cinesi sono elementi pittorici che vengono rappresentati ogni volta e in ogni poesia in maniera differente. Questa dimensione pittorica si perde completamente nella traduzione e la sua bellezza, la bellezza dell’originale scritto in cinese dalla mano stessa del poeta svanisce del tutto nella traduzione ed è difficilmente apprezzabile da chi non conosce bene il cinese. Ma è certamente possibile apprezzare in italiano la bellezza delle poesie cinesi, anche se si perdono alcune cose, e allo stesso modo è possibile far comprendere la bellezza delle scienze dure anche a chi non conosce la matematica e a chi non ha fatto studi scientifici. 

Non è facile farlo, ma è possibile, come è fondamentale il dialogo tra scienziati che studiano la matematica, la fisica o la biologia e studiosi di materie umanistiche (filosofiche, storiche e letterarie), dialogo tra le due culture, scientifica ed umanistica, essenziale per far diventare la scienza parte integrante della cultura e permettere alle persone d’avvicinarsi alla scienza contemporanea. È chiaro che la scuola da questo punto di vista può svolgere un ruolo fondamentale affinché la scienza sia presentata in maniera viva, non in maniera tediosa, perché se viene presentata in forme noiose è la fine dell’apprendimento piacevole e razionale, che è la funzione primaria della scuola. 

C’è un mondo intero di questioni che attendono di essere affrontate seguendo questa prospettiva. Bisogna muoversi in questa direzione, bisogna fare di più, molto di più di quanto non sia stato fatto fino ad ora. Se non lo si è fatto, credo che in parte sia anche a causa degli scienziati che non possono sfuggire a queste responsabilità. È dunque necessario che si muovano con convinzione e impegno in questa direzione. 

Il rifiuto della scienza

Questa profonda integrazione tra scienza e tecnologia potrebbe suggerire che la scienza ha un futuro brillante in una società che sta diventando sempre più dipendente dalla tecnologia avanzata (i telefoni cellulari ampiamente utilizzati oggi possono raggiungere una capacità di calcolo di centinaia di miliardi di operazioni aritmetiche al secondo, come i mastodontici supercomputer di venticinque anni fa). 

Oggi sembra essere vero il contrario: ci sono forti tendenze antiscientifiche nella società, il prestigio della Scienza e la fiducia che è stata riposta in essa stanno rapidamente diminuendo, le pratiche astrologiche, omeopatiche e antiscientifiche si stanno diffondendo ampiamente, insieme al vorace consumismo tecnologico (per esempio il movimento NoVax prima del COVID o la negazione della Xylella come origine della malattia che ha colpito gli ulivi pugliesi).

Ora, abbiamo anche visto durante la COVID, le tragedie che sono accadute alle persone che stavano negando la COVID, negandola. Si sono rifiutati di vaccinare nonostante milioni di morti. Questo è avvenuto grazie al rifiuto della scienza. 

Non è facile comprendere appieno l'origine di questo fenomeno: questa sfiducia di massa nella scienza può anche essere dovuta a una certa arroganza degli scienziati che presentano la scienza come saggezza assoluta, rispetto ad altre conoscenze discutibili, anche quando non è così. A volte, l'arroganza non consiste nel cercare di portare al pubblico le prove disponibili, ma nell'aspettarsi un assenso incondizionato basato sulla fiducia negli esperti. 

Il rifiuto di accettare i limiti può indebolire il prestigio degli scienziati, che a volte ostentano una sicurezza eccessiva e infondata; una posizione che il pubblico può in qualche modo percepire come parziale o limitata. A volte i cattivi divulgatori presentano i risultati scientifici quasi come una stregoneria superiore, comprensibile solo a pochi eletti. Così facendo, i non scienziati possono essere messi nella condizione di assumere un punto di vista irrazionale nei confronti della scienza, che viene percepita come una magia inaccessibile e quindi, a loro volta, nutrono aspettative irragionevoli: se la scienza diventa una pseudo magia, perché non scegliere la vera magia piuttosto che il suo surrogato?

Ma forse le difficoltà attuali hanno origini più profonde che devono essere comprese a fondo per poterle contrastare. Stiamo affrontando un periodo di pessimismo sul futuro, originato da crisi di diversa natura: crisi economica, riscaldamento globale, esaurimento delle risorse e inquinamento. In molti Paesi, sono in aumento anche le disuguaglianze, l'insicurezza, la disoccupazione e la guerra. Mentre un tempo si pensava che il futuro sarebbe stato inevitabilmente migliore del presente, la fede nel progresso, nelle magnifiche sorti e progressive degli esseri umani si è erosa: molti temono che le generazioni future staranno peggio di quelle attuali. E così come la scienza ha ricevuto il merito del progresso, ora riceve la colpa del suo declino (indipendentemente dal fatto che sia reale o solo percepito). La scienza è talvolta considerata un cattivo maestro che ci ha portato nella direzione sbagliata, e cambiare questa percezione non è facile. C'è una grande insoddisfazione nei confronti di tutti coloro che ci hanno condotto in questa situazione e gli scienziati non sfuggono ai rimproveri.

La scienza a volte è considerata un cattivo insegnante che ci porta nella direzione sbagliata. Il cambiamento di questa percezione non è facile. Non dobbiamo dare per scontato che lo sviluppo della scienza sia inarrestabile: è un errore pensare che lo sviluppo tecnologico possa sempre contare sullo sviluppo scientifico. I Romani conservarono la tecnologia greca senza molta considerazione per la scienza greca.

Il futuro dell'umanità

Ci sono alcune conseguenze pratiche della scienza che sono molto, importanti. La scienza sta facendo grandi progressi e molti dei problemi del mondo potrebbero essere risolti utilizzando gli strumenti della scienza messi a nostra disposizione. 

In questi giorni, l'umanità deve fare delle scelte essenziali; deve contrastare il cambiamento climatico. Per decenni, la scienza ci ha avvertito che il comportamento umano stava gettando le basi per un drammatico aumento della temperatura del nostro pianeta. Ma la scienza da sola non è sufficiente. Uomo avvisato mezzo salvato, dice il proverbio, ma solo mezzo. Sono necessarie decisioni politiche, soprattutto da parte dei Paesi ricchi. Dobbiamo andare oltre il miope interesse nazionale per risolvere i problemi globali con lo spirito di "whatever it takes". Il COVID ci ha insegnato che siamo tutti collegati e ciò che accade nei mercati dei giochi o nella foresta amazzonica riguarda profondamente tutti noi.

Purtroppo, le azioni intraprese dai governi non sono state all'altezza di questa sfida e i risultati finora sono stati estremamente modesti. Ora che il cambiamento climatico sta iniziando a influenzare la vita delle persone, c'è forse una reazione più decisa, ma abbiamo bisogno di misure molto più forti. Dall'esperienza del COVID, sappiamo che non è facile adottare misure efficaci in tempo. Abbiamo visto come spesso le misure per contenere la pandemia siano state prese in ritardo, solo nel momento in cui non potevano più essere rimandate. Ricordo che un capo di governo ha detto: "Non possiamo fare una lockdown prima che gli ospedali siano pieni, i cittadini non capirebbero". 

La nostra generazione deve percorrere una strada piena di pericoli. È come guidare di notte: la scienza è rappresenta i fari, ma poi la responsabilità di non uscire di strada è del conducente, che deve anche tenere conto del fatto che i fari hanno una portata limitata.

Infatti, anche gli scienziati non sanno tutto. Si tratta di un lavoro laborioso, durante il quale le conoscenze vengono accumulate una dopo l'altra e le sacche di incertezza vengono lentamente eliminate. La scienza fa previsioni oneste sulle quali si forma lentamente un consenso scientifico. Quando l'IPCF prevede che in uno scenario intermedio di riduzione delle emissioni di gas serra, la temperatura potrebbe aumentare tra i 2,1 e i 3,5 gradi, questo intervallo è quello che possiamo stimare al meglio in base alle conoscenze attuali. 

Ci troviamo di fronte a un problema enorme che richiede interventi decisivi non solo per fermare l'emissione di gas serra, ma abbiamo anche bisogno di investimenti scientifici: dobbiamo essere in grado di sviluppare nuove tecnologie per conservare l'energia trasformandola in combustibili, tecnologie non inquinanti basate su risorse rinnovabili: non solo dobbiamo salvarci dall'effetto serra, ma dobbiamo evitare di cadere nella terribile trappola dell'esaurimento delle risorse naturali.

Anche il risparmio energetico è un capitolo da affrontare con decisione: ad esempio, finché la temperatura interna delle nostre case rimarrà quasi costante tra estate e inverno, sarà difficile fermare le emissioni.

Bloccare con successo il cambiamento climatico richiede uno sforzo mostruoso da parte di tutti: si tratta di un'operazione con un costo colossale, non solo finanziario ma anche sociale, con cambiamenti che influiscono sulla nostra vita. La politica deve garantire che questi costi siano accettati da tutti: coloro che hanno utilizzato più risorse devono contribuire di più, per incidere il meno possibile sulla maggior parte della popolazione; i costi devono essere distribuiti in modo giusto ed equo tra tutti i Paesi: non solo la decenza richiede che i Paesi che attualmente incidono sulle risorse del pianeta facciano gli sforzi maggiori, ma se così non accadrà, sarà politicamente impossibile contrastare il cambiamento climatico in maniera efficace.

Scienza e pace

Dobbiamo costruire legami e ponti tra persone di Paesi diversi e sottolineare ciò che unisce tutti gli esseri umani al di là del nazionalismo. La scienza è un'impresa mondiale e si presta molto bene. Certo, ci vuole tempo, ma si tratta di processi di lunga durata e dobbiamo pensare in una prospettiva a lungo termine, quale sarà la situazione tra 10-20 anni.

Questo è accaduto in passato. L'Europa è una creazione culturale fatta da scienziati filosofi umanisti che hanno creato lo spazio culturale europeo. A partire dai clerici vagantes dalla fondazione delle Università, l'Europa è stata caratterizzata da una classe di persone molto colte che erano in contatto tra loro e si spostavano da un luogo all'altro. In questa costruzione, un ruolo molto importante è stato svolto dalle accademie scientifiche fondate in Europa (che ancora oggi dominano la scena scientifica) come l'Accademia dei Lincei nel 1603, la Royal Society nel 1646, l'Académie des Sciences nel 1666.

Molto tempo dopo, il CERN fu fondato da 12 Paesi europei nel 1954, 3 anni prima del Trattato di Roma, dove fu fondata la Comunità Economica Europea, con solo 6 dei 12 Paesi del CERN. È chiaro che la scienza era più avanti della politica, anche se consideriamo che molti Paesi, anche dall'altra parte del muro divisorio, partecipavano agli esperimenti condotti al CERN.

Negli ultimi tempi, abbiamo assistito alla creazione di Synchrotron-Light for Experimental Science and Applications in the Middle East (SESAME), un laboratorio straordinario, situato in Giordania, che è stato fondato da alcuni Paesi dell'Est: Bahrain, Cipro, Egitto, Iran, Israele, Pakistan e Autorità Palestinese e Turchia, che hanno una posizione politica piuttosto diversa.

Purtroppo non sempre la scienza viene usata per la pace: potrebbe essere usata per la guerra, come abbiamo visto in passato. Attualmente ci sono ancora problemi. Vorrei ricordare una dichiarazione del G7 accademico, che si è svolto a Parigi nel 2019, dove c'è stata un'importante dichiarazione sulle armi autonome firmata da tutte e sette le Accademie.

L'AI apre nuove possibilità per le applicazioni militari, in particolare per quanto riguarda i sistemi d'arma con una significativa autonomia nelle funzioni critiche di selezione e attacco degli obiettivi. Tali armi autonome potrebbero portare a una nuova corsa agli armamenti, abbassare la soglia della guerra o diventare uno strumento per oppressori o terroristi. Alcune organizzazioni chiedono un divieto sulle armi autonome, simile alle convenzioni nel campo delle armi chimiche o biologiche. Tale divieto richiederebbe una definizione precisa di armi e di autonomia. In assenza di un divieto sui Sistemi di Armi Autonome Letali (Lethal Autonomous Weapons Systems, LAWS), dovrebbe essere garantita la conformità di qualsiasi sistema d'arma al Diritto Internazionale Umanitario. Queste armi dovrebbero essere integrate nelle strutture di comando e controllo esistenti, in modo tale che la responsabilità e la responsabilità legale rimangano associate a specifici attori umani. C'è una chiara necessità di trasparenza e di discussione pubblica delle questioni sollevate in questo settore. 

Quest'anno abbiamo affrontato un'enorme tragedia, non solo i militari uccisi, ma anche un gran numero di civili. Siamo testimoni di un numero incredibilmente alto di rifugiati, così alto da non poter essere paragonato a nulla di ciò che ho visto. Questa tragedia deve finire ora, ma dobbiamo anche pensare a lungo termine Stiamo tornando ai tempi della guerra fredda e abbiamo sentito di nuovo la minaccia di usare le armi nucleari. La guerra fredda, un confronto che è andato avanti per più di 40 anni, non è stata solo fredda, ma ha avuto anche periodi caldi con milioni di morti. E credo che ora che i tempi della guerra fredda stanno tornando, dovremmo porci una domanda fondamentale. Perché siamo vivi? Perché non siamo morti nella Terza Guerra che si sarebbe potuto scatenare? 

Gran parte del merito deriva dalla consapevolezza che bisognava evitare un'escalation incontrollata e che era essenziale che gli eserciti del Patto di Varsavia e della NATO non si scontrassero militarmente. Ci si trovava in una situazione di distruzione reciproca assicurata (MAD) nel caso della guerra atomica. Siamo ancora nella stessa situazione, le circa 2000 testate strategiche della NATO e le 1600 testate russe sono in grado di devastare completamente l'emisfero settentrionale. Erae rimane fondamentale disinnescare i conflitti prima che si arrivi a uno scontro armato diretto tra i rispettivi eserciti.

La scienza ha avuto un ruolo diretto nella costruzione della pace. La "Diplomazia di secondo livello" ha avuto un ruolo molto importante. Il primo esempio di questo tipo di diplomazia sono state le Conferenze Pugwash sulla Scienza e gli Affari Mondiali. Pugwash ha svolto un ruolo utile nell'aprire canali di comunicazione in un periodo di relazioni ufficiali e non ufficiali altrimenti limitate. Ha fornito il lavoro di base per il Trattato sul divieto parziale di sperimentazione (1963), il Trattato di non proliferazione (1968), il Trattato sui missili anti-balistici (1972), la Convenzione sulle armi biologiche (1972) e la Convenzione sulle armi chimiche (1993). L'ex Segretario alla Difesa degli Stati Uniti Robert McNamara ha attribuito a un'iniziativa Pugwash di ritorno le basi per i negoziati che hanno posto fine alla guerra del Vietnam. Mikhail Gorbaciov ha ammesso l'influenza dell'organizzazione su di lui quando era leader dell'Unione Sovietica. Inoltre, a Pugwash è stato attribuito il merito di essere un'organizzazione "transnazionale" innovativa e all'avanguardia, nonché un esempio di efficacia della cosiddetta diplomazia non convenzionale (detta anche Track II diplomacy).

Questa non è l’unica iniziativa in questo campo. Per esempio, l’Accademia dei Lincei organizza ogni anno le conferenze Amaldi che sono un importante forum discussione ad altissimo livello, come si può vedere dagli atti delle precedenti conferenze Amaldi

Sono molto fiducioso che discussioni fra scienziati, politici, militari e diplomatici sono estremamente utili per costruire una comprensione reciproca senza la quale non possiamo costruire una pace duratura, pace senza la quale non potremmo affrontare con successo le sfide che l’umanità ha davanti.


Video Gallery "Gli auguri"








Photo Gallery della giornata